I ritorni


Piazza Navona, a notte, sui sedili
stavo supino in cerca della quiete,
e gli occhi con rette e volute di spirali
univano le stelle,
le stesse che seguivo da bambino
disteso sui ciottoli del Plàtani
sillabando al buio le preghiere.

Sotto il capo incrociavo le mie mani
e ricordavo i ritorni:
odore di frutta che secca sui graticci,
di violaciocca, di zenzero, di spigo;
quando pensavo di leggerti, ma piano,
(io e te, mamma, in un angolo in penombra)
la parabola del prodigo,
che mi seguiva sempre nei silenzi
come un ritmo che s'apra ad ogni passo
senza volerlo.

Ma ai morti non è dato di tornare,
e non c'è tempo nemmeno per la madre
quando chiama la strada;
e ripartivo, chiuso nella notte
come uno che tema all'alba di restare.

E la strada mi dava le canzoni,
che sanno di grano che gonfia nelle spighe,
del fiore che imbianca gli uliveti
tra l'azzurro del lino e le giunchiglie;
risonanze nei vortici di polvere,
cantilene d'uomini e cigolio di traini
con le lanterne che oscillano sparute
ed hanno appena il chiaro d'una lucciola.