Al tuo lume naufrago


Nasco al tuo lume naufrago,
sera d'acque limpide.

Di serene foglie
arde l'aria consolata.

Sradicata dai vivi,
cuore provvisorio,
sono limite vano.

Il tuo dono tremendo
di parole, Signore,
sconto assiduamente.

Destami dai morti:
ognuno ha preso la sua terra
e la sua donna.

Tu m'hai guardato dentro
nell'oscurità delle viscere:
nessuno ha la mia disperazione
nel suo cuore:

sono un uomo solo,
un solo inferno.


Sul colle delle "Terre Bianche"


Dal giorno, superstite
con gli alberi mi umilio.

Assai arida cosa;
a infermo verde amica,
a nubi gelide
rassegnate in piogge.

Il mare empie la notte,
e l'urlo preme maligno
in poca carne affondato.

Un'eco ci consoli della terra
al tardo strazio, amata;

o la quiete geometrica dell'Orsa.

Airone morto


Nella palude calda confitto al limo,
caro agli insetti, in me dolora
un airone morto.

Io mi divoro in luce e suono;
battuto in echi squallidi
da tempo a tempo geme un soffio
dimenticato.

Pietà, ch'io non sia
senza voci e figure
nella memoria un giorno.

L'ànapo


Alle sponde odo l'acqua colomba,
ànapo mio; nella memoria geme
al suo cordoglio
uno stormire altissimo.

Sale soavemente a riva,
dopo il gioco coi numi,
un corpo adolescente:
mutevole ha il volto,
su una tibia al moto della luce
rigonfia un grumo vegetale.

Chino ai profondi lieviti
ripatisce ogni fase,
ha in sé la morte in nuziale germe.

- Che hai tu fatto delle maree del sangue,
Signore? - Ciclo di ritorni
vano sulla sua carne,
la notte e il flutto delle stelle.

Ride umano sterile sostanza.
In fresco oblio disceso
nel buio d'erbe giace:

l'amata è un'ombra e origlia
nella sua costola.

Mansueti animali,
le pupille d'aria,
bevono in sogno.



Apòllion



I monti a cupo sonno
supini giacciono affranti.

L'ora nasce
della morte piena, Apòllion;
io sono tardo ancora di membra
e il cuore grava smemorato.

Le mie mani ti porgo
dalle piaghe scordate,
amato distruttore.

Canto di Apòllion


Terrena notte, al tuo esiguo fuoco
mi piacqui talvolta,
e scesi fra i mortali.

E vidi l'uomo
chino sul grembo dell'amata
ascoltarsi nascere,
e mutarsi consegnato alla terra,
le mani congiunte,
gli occhi arsi e la mente.

Amavo. Fredde erano le mani
della creatura notturna:
alti terrori accoglieva nel vasto letto
ove nell'alba udii destarmi
da battito di colombe.

Poi il cielo portò foglie
sul suo corpo immoto:
salirono cupe le acque nei mari.

Mi amore, io qui mi dolgo
senza morte, solo.


Sillabe a Erato


A te piega il cuore in solitudine,
esilio d'oscuri sensi
in cui trasmuta ed ama
ciò che parve nostro ieri,
e ora è sepolto nella notte.

Semicerchi d'aria ti splendono
sul volto; ecco m'appari
nel tempo che prima ansia accora
e mi fai bianco, tarda la bocca
a luce di sorriso.

Per averti ti perdo,
e non mi dolgo: sei bella ancora,
ferma in posa dolce di sonno:
serenità di morte estrema gioia.

Amen per la Domenica in Albis


Non m'hai tradito, Signore:
d'ogni dolore
son fatto prima nato.

Io mi cresco un male


Grato respiro una radice
esprime d'albero corrotto:

Io mi cresco un male
da vivo che a mutare
ne soffre anche la carne.

D'alberi sofferte forme


Ora matura, primizia del sole
la luce che destò d'intorno
d'alberi sofferte forme,
e sospirar d'acque
che la notte confuse alle parole,
e sollevate l'ombre
si piegano alle siepi.

Inutile giorno,
mi togli da spazi sospesi,
(deserti spenti, abbandoni)
da quiete selve
avvinte da canapi d'oro,
cui non muta senso
lo stormire dei venti
che d'impeto crolla,
né volgere di stelle.

Il cuore mi scopri sotterraneo,
che ha rose e lune a dondolo,
e ali di bestie di rapina
e cattedrali, da cui tenta
altezze di pianeti l'alba.

Ignoto mi svegli
a vita terrena.

Anellide ermafrodito



Mite letargo d'acque:
la neve cede chiari azzurri.

Sono memoria
d'ogni mia ora terrena,
angelo biancospino.

A te mi porgo trebbiato
senza seme; e duole dentro
pietà di magre foglie
che m'aiuta la morte.

Dalla fangaia affiora
roseo anellide
ermafrodito. 

Fresche di fiumi in sonno


Ti trovo nei felici approdi,
della notte consorte,
ora dissepolta
quasi tepore d'una nuova gioia,
grazia amara del viver senza foce.

Vergini strade oscillano
fresche di fiumi in sonno:

E ancora sono il prodigo che ascolta
dal silenzio il suo nome,
quando chiamano i morti.

Ed è morte
uno spazio nel cuore.

Verde deriva


Sera: luce addolorata,
pigre campane affondano.
Non dirmi parole: in me tace
amore di suoni, e l'ora è mia
come nel tempo dei colloqui
con l'aria e con le selve.

Sopori scendevano dai cieli
dentro acque lunari,
case dormivano sonno di montagne,
o angeli fermava la neve sugli ontani,
e stelle ai vetri
velati come carte d'aquiloni.

Verde derive d'isole,
approdi di velieri,
la ciurma che seguiva mari e nuvole
in cantilena di remi e di cordami
mi lasciava la preda:
nuda e bianca, che a toccarla
si udivano in segreto
le voci dei fiumi e dalle rocce.

Poi le terre posavano
su fondali d'acquario,
e ansia di noia e vita d'altri moti
cadeva in assorti firmamenti.
Averti è sgomento
che sazia d'ogni pianto,
dolcezza che l'isole richiami.


Primo giorno


Una pace d'acque distese,
mi desta nel cuore
d'antichi uragani,
piccolo mostro turbato.

Son lievi al mio buio
le stelle crollate con me
in sterili globi a due poli,
tra solchi d'aurore veloci:
amore di rupi e di nubi.

è tuo il mio sangue,
Signore: moriamo.

Seme







Alberi d'ombre,
isole naufragano in vasti acquari,
inferma notte,
sulla terra che nasce;

Un suono d'ali
di nuvola che s'apre
sul mio cuore:
nessuna cosa muore,
che in me non viva.

Tu mi vedi: così lieve son fatto,
così dentro alle cose
che cammino coi cieli;

che quando Tu voglia
in seme mi getti
già stanco del peso che dorme.


L'acqua infradicia ghiri


Lucida alba di vetri funerari.
L'acqua infradicia ghiri
nel buio vegetale,
dai grumi dei faggi
filtrando inconsapevole
nei tronchi cavi.

Come i ghiri, il tempo che dilegua:
e bruci il tonfo ultimo,
rapina di dolcezze.

Né in te riparo,
abbandonata al sonno
da fresca gioia:
vanamente rinsanguo fatto sesso.


Mobile d'astri e di quiete


E se di me gioia ti vince,
è nodo d'ombre.
Non altro ora consola
che il silenzio: e non ci sazia
volto mutevole d'aria e di colli,
giri la luce i suoi cieli cavi
a limite di buio.

Mobile d'astri e di quiete
ci getta notte nel veloce inganno:
pietre che l'acqua spolpa ad ogni foce.

Bambini dormono ancora nel sonno;
io pure udivo un urlo talvolta
rompere e farsi carne;
e battere di mani ed una voce
dolcezze spalancarmi ignote.


Fatta buio e altezza


Tu vieni nella mia voce:
e vedo il lume quieto
scendere in ombra a raggi
e farti nuvola d'astri intorno al capo.
E me sospeso, a stupirmi degli angeli,
dei morti, dell'aria accesa in arco.

Non mia; ma entro lo spazio
riemersa, in me tremi,
fatta buio ed altezza.