Lamento per il Sud


La luna rossa, il vento, il tuo colore
di donna del Nord, la distesa di neve...
Il mio cuore è ormai su queste praterie,
in queste acque annuvolate dalle nebbie.
Ho dimenticato il mare, la grave
conchiglia soffiata dai pastori siciliani,
le cantilene dei carri lungo le strade
dove il carrubo trema nel fumo delle stoppie,
ho dimenticato il passo degli aironi e delle gru
nell'aria dei verdi altipiani
per le terre e i fiumi della Lombardia.
Ma l'uomo grida dovunque la sorte d'una patria.
Più nessuno mi porterà nel Sud.

Oh, il Sud è stanco di trascinare morti
in riva alle paludi di malaria,
è stanco di solitudine, stanco di catene,
è stanco nella sua bocca
delle bestemmie di tutte le razze
che hanno urlato morte con l'eco dei suoi pozzi,
che hanno bevuto il sangue del suo cuore.
Per questo i suoi fanciulli tornano sui monti,
costringono i cavalli sotto coltri di stelle,
mangiano fiori d'arancia lungo le piste
nuovamente rosse, ancora rosse, ancora rosse.
Più nessuno mi porterà nel Sud.

E questa sera carica d'inverno
è ancora nostra, e qui ripeto a te
il mio assurdo contrappunto
di dolcezze e di furori,
un lamento d'amore senza amore.


Altra risposta


Ma che volete pidocchi di Cristo?
Non accade nulla nel mondo e l'uomo
stringe ancora la pioggia nelle sue ali
di corvo e grida amore e dissonanza.
Per voi non manca sangue
dall'eternità. Soltanto la pecora
si torse al suo ritorno con la testa
brulla e l'occhio di sale.
Ma non accade nulla. E già è muschio
la cronaca ai muri della città
d'un arcipelago lontano.

Una risposta


Se arde alla mente l'àncora d'Ulisse...

Se in riva al mare di Aci, qui fra barche
con l'occhio nero a prua contro la mala
sorte, io potessi dal nulla dell'aria
qui dal nulla che stride di colpo e uncina
come la fiocina del pesce-spada,

dal nulla delle mani che si mutano
come Aci, viva formare dal nulla
una formica e spingerla nel cono
di sabbia del suo labirinto o un virus
che dia continua giovinezza al mio
più fedele nemico,
forse allora sarei simile a Dio -

nell'uguale fermezza della vita
e della morte non contrarie:
onda qui e lava, larve
della luce di questa già futura
chiara mattina d'inverno - risposta
a una domanda di natura e angoscia
che folgora su un numero miliare,
il primo della strada torrida
che s'incunea nell'al di là.


Alla nuova luna


In principio Dio creò il cielo
e la terra, poi nel suo giorno
esatto mise i luminari in cielo
e al settimo giorno si riposò.

Dopo miliardi di anni l'uomo,
fatto a sua immagine e somiglianza,
senza mai riposare, con la sua
intelligenza laica,
senza timore, nel cielo sereno
d'una notte d'ottobre,
mise altri luminari uguali
a quelli che giravano
dalla creazione del mondo. Amen.

Tempio di Zeus ad Agrigento


La ragazza seduta sull'erba, alza
dalla nuca i capelli ruvidi e ride
della corsa e del pettine smarrito.
Il colore non dice o se strappato
dalla mano rovente che lontana
saluta dietro un mandorlo o finito
sul mosaico del cervo greco in riva
al fiume o in un fosso di spine viola.
E ride la follia dei sensi, ride
continua alla sua pelle di canicola
meridiana dell'isola,
e l'ape lucida zufola e saetta
veleni e vischi d'abbracci infantili.

In silenzio guardiamo questo segno
d'ironica menzogna: e per noi brucia
rovesciata la luna diurna e cade
al fuoco verticale. Che futuro
ci può leggere il pozzo
dorico, che memoria? Il secchio lento
risale dal fondo e porta erbe e volti
appena conosciuti.
Tu giri antica ruota di ribrezzo,
tu malinconia che prepari il giorno
attenta in ogni tempo, che rovina
fai d'angeliche immagini e miracoli,
che mare getti nella luce stretta
d'un occhio! Il telamone è qui, a due passi,
dall'Ade (mormorio afoso, immobile),
disteso nel giardino di Zeus e sgretola
la tua pietra con pazienza di verme
dell'aria: è qui, giuntura su giuntura,
fra alberi eterni per un solo seme.