Nell'aria dei cedri lunari,
al segno d'oro udimmo il Leone.
Presagio fu l'ululo terreno.
Svelata è la vena di corolla
sulla tempia che declina al sonno
e la tua voce orfica e marina.
Come il sale dall'acque
io esco dal mio cuore.
Dilegua l'età dell'alloro
e l'inquieto ardore
e la sua pietà senza giustizia.
Perisce esigua
l'invenzione dei sogni
alla tua spalla nuda
che di miele odora.
In te salgo, o delfica,
non più umano. Segreta
la notte delle piogge di calde lune
ti dorme negli occhi:
a questa quiete di cieli in rovina
accade l'infanzia inesistente.
Nei moti delle solitudini stellate,
al rompere dei grani,
alla volontà delle foglie,
sarai urlo della mia sostanza.