Sulle rive del Lambro
Illeso sparì da noi quel giorno
nell'acqua coi velieri capovolti.
Ci lasciarono i pini,
parvenza di fumo sulle case,
e la marina in festa
con voce alle bandiere
di piccoli cavalli.
Nel sereno colore
che qui risale a morte della luna
e affila i colli di Brianza,
tu ancora vaga movendo
hai pause di foglia.
Le api secche di miele
leggere salgono con le spoglie dei grani,
già mutano luce le Vergilie.
Al fiume che solleva ora in un tonfo
di ruota il vuoto della valle,
si rinnova l'infanzia giocata coi sassi.
Mi abbandono al suo sangue
lucente sulla fronte,
alla sua voce in servitù di dolore
funesta nel silenzio del petto.
Tutto che mi resta è già perduto:
Nel nord della mia isola e nell'est
è un vento portato dalle pietre
ad acque amate: a primavera
apre le tombe degli Svevi;
i re d'oro si vestono di fiori.
Apparenza d'eterno alla pietà
un ordine perdura nelle cose
che ricorda l'esilio:
sul ciglio della frana
esita il macigno per sempre,
la radice resiste ai denti della talpa.
E dentro la mia sera uccelli
odorosi di arancia oscillano
sugli eucalyptus.
Qui autunno è ancora nel midollo
delle piante; ma covano i sassi
nell'alvo di terra che li tiene;
e lunghi fiori bucano le siepi.
Non ricorda ribrezzo ora il tepore
quasi umano di corolle pelose.
Tu in ascolto sorridi alla tua mente:
e quale sole lèviga i capelli
a fanciulle in corsa;
che gioie mansuete e confuse paure
e gentilezza di pianto lottato,
risorgono nel tempo che s'uguaglia!
Ma come autunno, nascosta è la tua vita.
Anche tramonta questa notte
nei pozzi dei declivi; e rulla il secchio
verso il cerchio dell'alba.
Gli alberi tornano di là dai vetri
come navi fiorite.
O cara,
come remota, morte era da terra.
L'alto veliero
Quando vennero uccelli a muovere foglie
degli alberi amari lungo la mia casa,
(erano ciechi volatili notturni
che foravano i nidi sulle scorze)
io misi la fronte alla luna,
e vidi un alto veliero.
A ciglio dell'isola il mare era sale;
e s'era distesa la terra e antiche
conchiglie lucevano fitte ai macigni
sulla rada di nani limoni.
E dissi all'amata che in sé agitava un mio figlio,
e aveva per esso continuo il mare dell'anima:
"Io sono stanco di tutte quest'ali che battono
a tempo di remo, e delle civette
che fanno il lamento dei cani
quando è vento di luna ai canneti.
Io voglio partire, voglio lasciare quest'isola".
Ed essa: "O caro, è tardi: restiamo".
Allora mi misi lentamente a contare
i forti riflessi d'acqua marina
che l'aria mi portava sugli occhi
dal volume dell'alto veliero.
Piazza Fontana
Non a me più il vento fra i capelli
caro dilunga, e delusa è la fronte:
inclina il capo docile ai fanciulli
sulla piazza, agli alberi rossi in curva.
Con umana dolcezza
autunno mi consuma. E questa furia
d'ultimi uccelli estivi sulle mura
della Curia ha il grigio dei portali,
dura nell'aria e dentro il mio
quieto stormire.
Risento
il monotono ridere senile
dei migranti acquatici,
lo scroscio improvviso di colombe
che divise la sera e a noi il saluto
a riva di Hautecombe.
Esatto quel tempo s'umilia nei simboli,
e anche questo, vivo alla sua morte.
Se ne va il mio dominio da te; rapido
muta: così contro il vento nero
delle finestre, l'acqua della fontana
in pioggia leggera.
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